Contesto storico dopo la Prima Guerra Mondiale: avvento del Nazismo in Germania

La situazione in Europa dopo la Prima Guerra Mondiale

Inghilterra
Al termine della Prima Guerra Mondiale l’Inghilterra, grazie alla spartizione delle ex colonie tedesche e ai mandati ottenuti in Medioriente su Iraq, Transgiordania e Palestina, vide aumentare considerevolmente la propria influenza internazionale. Alcuni dei problemi più urgenti erano già stati risolti nel primo quindicennio del XX secolo dal liberale Lloyd George, autore di numerose riforme; altri problemi tuttavia permasero, come le aspirazioni di indipendenza dell’Irlanda e dell’India.

Re Fuad I d'Egitto All’Egitto fu concessa dall’Inghilterra un’indipendenza formale nel 1922. In realtà la monarchia locale, con re Fuad, poi seguito dal figlio Faruk, e i principali ministeri rimasero sotto il controllo o l’influenza britannica praticamente fino al colpo di Stato messo a segno dai Liberi Ufficiali nel 1952. L’Egitto fu il paese in cui prima si sviluppò il nazionalismo arabo, largamente condiviso dagli ambienti militari, dai circoli dei notabili e dalla nascente borghesia imprenditoriale e finanziaria. Data l’importanza strategica dell’Egitto, l’Inghilterra anche dopo il 1922 continuò a mantenere il controllo del Canale di Suez, provocando la rabbia degli egiziani che vedevano con ostilità l’ingombrante presenza inglese sul loro territorio. Contro tali contingenti cominciarono pertanto a compiere azioni armate i giovani di una nuova organizzazione, fondata nel 1928 da Hassan Al-Banna che assunse il nome di Fratellanza Musulmana. A differenza del nazionalismo elitario degli ufficiali, la Fratellanza si rivolgeva alle masse popolari facendo leva sulla loro fede religiosa. Movimenti con lo stesso nome nacquero negli anni successivi in tutti gli Stati del Medioriente.

Il processo verso una sempre più ampia autonomia, già parzialmente in atto dal XIX secolo, è vivacissimo presso le popolazioni dei dominions britannici. L’Inghilterra ne riconosce la necessità e l’irreversibilità, e con progressive concessioni finisce con il sottoscrivere nel 1931 un vero e proprio statuto del Commonwealth nel quale si riconoscono i dominions come collettività autonome non subordinate tra loro, “ma unite da un comune legame alla medesima Corona, ed associate liberamente come membri della Comunità delle Nazioni Britanniche”.


Stati Uniti
Alla fine della Prima Guerra Mondiale fu inevitabile la diminuzione dell’importanza del Commonwealth nei confronti della nuova realtà mondiale degli USA, con cui l’Inghilterra di fatto cedeva il primato mondiale alla potenza statunitense. Nella Conferenza di Washington tenutasi tra il 1921 e il 1922 (a cui parteciparono USA, Inghilterra, Francia, Italia, Giappone, Cina, Belgio, Olanda e Portogallo), si stabilì l’obbligo di rispettare l’indipendenza della Cina, che a sua volta si impegnava a concedere agli stranieri la più ampia libertà di commercio entro i suoi confini; fu concordato inoltre tra USA, Gran Bretagna e Giappone un mutuo rispetto dei loro possedimenti nel Pacifico e si stabilirono i limiti del tonnellaggio delle flotte militari a cui i contraenti dovevano conformarsi secondo le proporzioni espresse dai coefficienti: 5 (Usa e Inghilterra), 3 (Giappone), 1,67 (Italia e Francia).

L‘apparente parità navale con gli USA si traduceva però per l’Inghilterra in una reale inferiorità, dato che gli Stati Uniti avevano il controllo del Canale di Panama e potevano in qualsiasi circostanza trasportare le loro flotte dall’Atlantico al Pacifico, mentre la Gran Bretagna non poteva fare altrettanto senza il loro consenso. La sua amicizia con gli USA divenne quindi fondamentale ai fini del mantenimento del proprio impero e per garantirla rinunciò a rinnovare gli accordi, siglati nel 1902 e scaduti nel 1922, con il Giappone, grande concorrente del gigante americano.

La notizia del crollo della borsa di Wall Street riportata da un giornale d'epocaDal 1922 al 1929 la produzione industriale statunitense, assai elevata già in partenza, aumentò del 64%, la produttività del lavoro del 43%, i profitti del 76% e i salari del 30%. La differenza abissale tra l’aumento dei salari e l’aumento dei profitti creò grandi squilibri sociali, accentuati dalla crisi dei sindacati dovuta al taylorismo che rendeva più che mai ripetitivo e squalificato il lavoro degli operai e spezzava la loro forza contrattuale. A questi squilibri oggettivi si aggiungeva un fattore soggettivo di precarietà: la convinzione, avallata dalla propaganda, che si aprissero per tutti prospettive di rapido arricchimento in seguito a rischiose e fortunate attività speculative. Gli indici della borsa di Wall Street crescevano continuamente spinti dalla corsa all’acquisto dei titoli (a cui partecipavano anche gli strati della popolazione con reddito più basso), ma alla loro crescita non corrispondeva l’andamento dell’economia reale. Evidentemente questo squilibrio non poteva durare all’infinito e i più avveduti tra i possessori di titoli, avuto sentore dell’effettivo calo di produzione, cominciarono a vendere i titoli. Pian piano cominciò a spargersi la voce e la quantità enorme di vendite raggiunse il suo apice il 29 ottobre del 1929, giorno in cui si registrò la vetta insuperata di 16.410.000 azioni contrattate, provocando un vero e proprio crollo della borsa. Gli effetti di questa crisi si ripercosse su tutta l’economia mondiale.


Francia
Le condizioni materiali e politiche della Francia all’indomani della Prima Guerra Mondiale erano solide per un verso ma duramente provate per l’altro. Certo, l’auspicata rivincita per la sconfitta di Sédan era stata ottenuta, l’Alsazia e la Lorena erano state recuperate e la Germania, in precedenza minacciosa, era stata ridotta all’impotenza; inoltre l’impero coloniale si era ulteriormente espanso in Africa e alla Francia furono riconosciuti in Medioriente i mandati sugli attuali Libano e Siria.

Ma a fronte di tutto ciò, il prezzo pagato era elevatissimo: un milione e quattrocentomila fra morti e dispersi; capacità produttive ridotte del 20% rispetto all’anteguerra; debiti contratti con USA e Inghilterra da saldare e debito pubblico interno quintuplicato; intere regioni devastate dalle ripetute invasioni nemiche, che i francesi si illudevano di strappare per intero alla Germania come “riparazioni”, benché la Germania non fosse in grado di versarli. Per far fronte all’enorme debito pubblico fu stampata carta moneta, che provocò inflazione ed aumento dei prezzi.

La Francia, per giunta, doveva ancora smaltire i traumi subìti negli anni dell’Affaire Dreyfus e dalla conseguente controffensiva laico-democratica, iniziata nel 1899. In seguito a svariate dispute diplomatiche susseguitesi negli anni, la Repubblica giunse ad una rottura con la Santa Sede, a cui si oppose il Bloc des Gauches (“Blocco delle Sinistre”), che comprendeva socialisti riformisti, socialisti indipendenti, radical-socialisti e repubblicani. La conseguenza di ciò fu l’abrogazione nel 1906 del concordato vigente dal 1801 (cioè dai tempi di Napoleone) e la separazione tra Chiesa e Stato, che portò la totale laicizzazione della scuola.

Nel dopoguerra tuttavia il clima politico subì una netta modificazione: se nelle elezioni politiche del 1914 aveva vinto il Blocco delle Sinistre, nel 1919 la vittoria toccò ad un Blocco Nazionale, comprendente varie fazioni degli schieramenti di destra e con forti ispirazioni nazionalistiche. Tenaci e puntigliose nel pretendere dalla Germania il completo pagamento delle “riparazioni”, diffidenti nei confronti della nuova Germania democratico-repubblicana, queste fazioni erano animate da uno spirito di rivalsa che avrebbe contribuito a spingere i tedeschi verso la reazione nazista.

La spartizione del Medioriente

Fine dell’Impero Ottomano e riorganizzazione del Medioriente
A sancire ufficialmente lo smembramento della più grande potenza islamica dell’epoca fu il trattato di Sèvres del 1920, ma in realtà il suo processo di disgregazione era già in corso da oltre un secolo, a causa dell’incontro-scontro con le nuove idee che avevano cambiato profondamente l’Europa fin dai tempi della Rivoluzione Francese e della Rivoluzione Industriale. Nell’Impero concetti come libertà, cittadinanza, nazione, diritto naturale erano totalmente sconosciuti o, in quanto radicati nel contesto della cultura islamica, avevano un significato non comparabile con i corrispondenti termini europei. La nazione (umma in arabo), per esempio, comprendeva tutta la comunità musulmana del pianeta. Tutto l’Impero aveva origine da Dio, e pertanto la separazione o la semplice distinzione tra politica e religione o fra la religione e l’economia, era assolutamente inconcepibile. Vi furono dei tentativi da parte di numerosi studiosi, che avevano capito che la potenza dell’Europa dipendeva anche dal suo immenso bagaglio culturale e non solo dai suoi armamenti, di far rinascere l’Islam e renderlo compatibile con le esigenze del mondo moderno ricercando nelle fonti primarie dell’Islam stesso (Corano e tradizioni) l’equivalente dei concetti dinamici europei. Questo movimento è stato indicato con il nome di Rinascita islamica. Il Sultano temeva l’affermarsi di questi valori e per reagire alla sua “passività” nel 1908 alcuni ufficiali dell’esercito ottomano si ribellarono e si posero a capo del movimento dei Giovani Turchi che voleva il termine dell’autocrazia del Sultano e chiedeva una nuova costituzione ispirata al liberalismo.

Thomas Edward Lawrence, meglio conosciuto come Lawrence d'Arabia Durante la Guerra Mondiale i turchi Ottomani tentarono di scatenare contro gli inglesi una specie di “guerra santa” islamica, in cui avrebbero dovuto partecipare attivamente anche gli arabi. Accadde invece l’esatto contrario: gli arabi si dimostrarono più sensibili al desiderio di liberarsi del giogo turco che all’ipotesi di combattere a fianco dei turchi per la vittoria dell’Islam. Alla loro ribellione contro il Sultano contribuì arditamente l’avventuroso colonnello britannico Thomas Edward Lawrence, meglio conosciuto come Lawrence d’Arabia, che guidò le vittoriose incursioni della guerriglia araba contro gli Ottomani a fianco dello sceriffo Hussein.

Alla fine della “Grande Guerra” il Medioriente fu riorganizzato secondo un accordo di spartizione firmato nel 1916 che venne poi sostanzialmente ratificato dalla Società delle Nazioni. In base a tale accordo la Francia avrebbe ottenuto i mandati sugli attuali Siria e Libano e la Gran Bretagna su Iraq, Transgiordania, e Palestina. In Iraq e in Giordania furono create ex novo due monarchie, alla guida delle quali vennero posti rispettivamente Feisal e Abdullah Husseini, i figli dello sceriffo Hussein che aveva combattuto a fianco di Lawrence d’Arabia: ma furono ovviamente due monarchie “protette”, ossia subordinate ai voleri dell’Inghilterra. Gli arabi, che avevano appoggiato la rivolta guidata dal colonnello Lawrence in quanto era stata loro promessa l’indipendenza, si resero conto di essere stati traditi, e questa amara consapevolezza fu il lievito ispiratore delle ideologie antieuropee destinate a dominare il Medioriente per tutto il ‘900.


Germania
Friedrich Ebert Al termine della Prima Guerra Mondiale, crollato l’impero di Guglielmo II, la Germania si trasformò in una Repubblica federale, meglio conosciuta come Repubblica di Weimar, presieduta da Friedrich Ebert. Il trapasso non fu però né facile né pacifico, a causa di lotte intestine tra comunisti ed anticomunisti.

I vincitori della guerra esasperarono il risentimento della popolazione tedesca imponendo alla Germania, con il trattato di Versailles, il risarcimento di tutti i danni di guerra, che corrispondevano alla cifra complessiva di 132 miliardi di marchi d’oro: una somma assolutamente fuori misura, che se fosse stata pagata per intero avrebbe distrutto per generazioni l’economia tedesca. D’altronde era proprio questo lo scopo vero, seppur non dichiarato, dagli Alleati, che volevano fare della Germania una sorta di “barriera” contro il comunismo, e che constatavano come, nonostante i danni e le distruzioni che aveva subìto, questa dimostrava di avere una eccezionale capacità di ripresa, accelerata ulteriormente da accordi di collaborazione con la Russia bolscevica.

Le possibilità di ripresa fondate sugli accordi russo-germanici furono bruscamente bloccate nel gennaio del 1923, quando la Francia, governata dal Blocco Nazionale, e il Belgio, per rifarsi delle “mancanze della Germania nei versamenti in natura, costatate dalla commissione per le riparazioni” occuparono il bacino minerario della Ruhr, che da solo forniva alla Germania i 4/5 del fabbisogno di carbone e acciaio. Questa aggressione portò la Germania alla rovina e suscitò le più vive preoccupazioni anche fra i dirigenti russi. Il governo tedesco reagì proclamando la resistenza passiva e i lavoratori della Ruhr, sostenuti nel loro sciopero ad oltranza dalle finanze pubbliche germaniche, rifiutarono ogni collaborazione con i francesi, che di fatto non ricavarono alcun vantaggio dall’aggressione. D’altra parte, le spese sostenute per finanziare la resistenza passiva costrinsero la Germania a stampare enormi quantità di moneta, causando l’aumento vertiginoso dell’inflazione. In pochi mesi il valore del marco crollò, tanto che alla fine del 1923 un dollaro si scambiava con 4200 miliardi di marchi. Fu dunque necessario ritirare la vecchia moneta dalla circolazione e sostituirla con un nuovo marco. Di fronte all’impossibilità di sostenere ulteriormente le spese della resistenza passiva nella Ruhr, il governo tedesco ne proclamò la completa cessazione il 26 settembre 1923.

Queste vicende gettarono i tedeschi nella più nera disperazione, e le correnti nazionalistiche ne approfittarono per intensificare la campagna antidemocratica e per additare al pubblico disprezzo i cosiddetti “criminali di novembre”, cioè coloro che firmarono l’armistizio nel novembre del 1918, ignorando il fatto che in realtà la guerra era stata causata dalla vecchia classe dirigente e che la firma dell’armistizio era praticamente necessaria. Fra i movimenti nazionalisti e sciovinisti, che con la loro demagogia avevano facilmente presa sulle popolazioni esasperate, cominciarono a farsi strada i nazionalsocialisti di Adolf Hitler, vicini per alcuni aspetti al fascismo italiano ma con una più spiccata ideologia razzista e antisemita.

Charles Gates Dawes La rovinosa inflazione del marco, l’instabilità politica, la questione delle riparazioni consentirono agli Stati Uniti di intervenire nei problemi dell’Europa centrale, cui essi erano d’altra parte direttamente interessati dato che la Francia dichiarava di non poter pagare i propri debiti di guerra se i tedeschi non pagavano a loro volta le riparazioni. In questa prospettiva il finanziere statunitense Charles Gates Dawes mise a punto un piano di ricostruzione dell’economia tedesca. In esecuzione del piano Dawes, varato nell’agosto del 1924, i francesi sgomberarono la Ruhr; la Banca Centrale Tedesca fu sottoposta alla sorveglianza degli Alleati; un prestito di 800 milioni di marchi d’oro venne offerto dagli USA come base di partenza del nuovo corso economico. Le riparazioni, secondo il piano, sarebbero state pagate dalla Germania a rate annuali crescenti, e la progettata ripresa economica avrebbe permesso ai tedeschi di saldare il debito.

Adolf HitlerQuando crollò la borsa ed esplose la crisi del 1929, i finanzieri statunitensi furono costretti a ritirare i loro prestiti, determinando il crollo dell’economia tedesca, ormai legata a quella americana. A questo punto si realizzarono le condizioni necessarie e sufficienti perché il nazismo, già largamente diffuso e radicato, si imponesse come forza dominante. I nazisti, appoggiati e finanziati dai grandi trust che si erano formati all’epoca del Piano Dawes e parzialmente protetti anche dalla magistratura che tendevano a punire con pene irrisorie le violenze commesse dai nazionalisti, ebbero buon gioco nel presentarsi demagogicamente all’opinione pubblica come gli unici autentici rappresentanti del popolo tedesco. Nelle elezioni presidenziali dell’aprile 1932 i candidati più importanti erano Hindenburg e Hitler. Data la situazione disperata della Repubblica, i socialdemocratici rinunciarono a presentare la loro candidatura concentrando i loro voti su Hindenburg, che venne effettivamente eletto con 19 milioni di voti, contro i 13 del rivale. Nonostante ciò, il vincitore chiamò Hitler a diventare cancelliere e a presiedere un governo di coalizione con altre forze della destra nazionalista. Quindi, per far sì che il Reichstag (il Parlamento) abbia una composizione più corrispondente ai nuovi rapporti di forza stabilitisi con l’ascesa di Hitler, Hindenburg indisse nuove elezioni, a distanza di pochi mesi da quelle precedenti.

L'incendio del ReichstagLa campagna elettorale venne condotta dai nazisti come un’azione di guerra. Alle violenze delle bande di Hitler, fra le quali si distinsero le famigerate SS (Schutzstaffein, ossia “squadre di protezione”) si aggiunsero i crimini e le prevaricazioni della polizia. Hernann Goring, stretto collaboratore di Hitler, il 27 febbraio fece persino incendiare dai propri agenti segreti la sede del Reichstag per addossarne la colpa ai comunisti e per farli arrestare. Con questi metodi i nazisti ottennero 17 milioni di voti e, grazie all’appoggio degli altri gruppi nazionalisti schieratisi dalla loro parte, conquistarono infine la maggioranza assoluta nel Reichstag. I nazisti intendevano conservare il potere con qualsiasi mezzo: sciolti o costretti ad autosciogliersi gli altri partiti e tolti di mezzo i sindacati, il 14 luglio 1933 il governo decretò che in Germania l’unico partito ammesso era il nazismo; il 12 novembre infine indissero nuove elezioni, sia per uscire dalla Società delle Nazioni che per eleggere ancora una volta il Reichstag. Il 95% degli elettori votò per l’uscita e il 92% per la lista unica presentata dai nazisti. Per Hitler fu un autentico trionfo. Poco dopo morì Hindenburg e Hitler potè assumere anche la carica di capo dello Stato, fino ad imporsi in brevissimo tempo come indiscusso Fuhrer (“duce”) del Terzo Reich.

Discorso di Hitler al Reichstag. La svastica, antico simbolo magico della tradizione indoeuropea, era stata assunta dall'inizio del XX secolo come emblema dai movimenti antisemiti, e venne quindi adottata dai nazisti.

Elenco delle parole chiave, dei luoghi e dei personaggi storici

1a guerra arabo-israeliana (guerra di indipendenza) (2) 2a guerra arabo-israeliana (crisi di Suez) (1) 3a guerra arabo-israeliana (guerra dei Sei Giorni) (5) 4a guerra arabo-israeliana (guerra del Kippur) (2) Aaronsohn Aaron (2) Aaronsohn Sarah (1) Abdullah I Husseini (1) Acquisti di terre (5) Adler Saul (1) Agenzia Ebraica (2) Al Fatah (1) Al-Bakr Ahmed Hassan (1) Al-Husseini Haj Amin (4) Aliyah Bet (2) All Jewish Palestine Orchestra (1) Allenby Edmund (2) Altalena (1) Alterman Natan (1) Antisemitismo (4) Approfondimenti (15) Arafat Yasser (4) Arikha Avigdor (2) Assad Hafiz (3) Assedio di Gerusalemme del 1948 (1) Attentato a Lod del 1972 (1) Attentato all'hotel King David (1) Attentato di Atene del 1968 (1) Attentato sul volo Swiss Air del 1970 (1) Attlee Clement (1) Baath (1) Balfour Arthur James (3) Banda Stern (1) Begin Menachem (7) Ben-Gurion David (9) Ben-Yehuda Eliezer (1) Ben-Zvi Yitzhak (1) Bernadotte Folke (1) Bevin Ernest (3) Bezalel School (1) Brigata Ebraica (1) Brigata 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